Shtares 2018, si continua a sognare

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Shtares 2018 si è conclusa. La spedizione di quest’anno ci ha regalato davvero tanto. Non chilometri di grotte, come ci si potrebbe aspettare, ma tanti presupposti per continuare le nostre ricerche in Albania.

Dove ci eravamo lasciati.

L’anno scorso, a conclusione di “Shtares 2017”, rientrammo in Italia dopo aver esplorato circa 2,7 Km di gallerie. Fin lì fu facile, la grotta andava e non presentò intoppi, l’intreccio di vie e condotte ci permise di giocare a fare gli esploratori fino all’ultimo giorno, quando la Shtares ci regalò la vista di una bella cascatella appartenente a un cospicuo attivo. Il primo e per ora unico conosciuto all’interno della grotta.

A giocare a fare gli esploratori spesso si bara, e noi per far buon viso a cattivo gioco, in esterna ci divertimmo con il drone, pilotato dal capitano Tommy. Con un sorvolo ricognitivo a circa 100m sull’azimut dell’ingresso della cavità, incredibile a dirsi, gli si parò davanti un notevole buco nero, che sprofondava parallelo alla parete, impossibile da vedere dal basso da dove si nota solo una frattura come decine di altre. E proprio da quel buco nero sarebbero ripartite le ricerche dell’estate successiva.

Shtares 2017 – Spedizione in Albania (guarda il video…)
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Sulle Alpi di Vrane (21/08 – 27/08)

A provare l’assalto sin dal primo giorno sono Alessandro e Susi, che in 72 ore hanno aperto una via in stile alpino di circa 200 m attrezzandola con Nut e Friends e qualche fix.

Strada facendo, hanno individuato così altri due ingressi: Il primo, chiamato “Grotta del Solitario”, raggiunto il giorno successivo anche da una delegazione, composta da Luciano, Francesco e Junior per rilevarla e tastarne il potenziale (questa grotta è un ingresso alto e aspira in maniera decisa, ma al suo interno ci si muove per la maggior parte su una ciclopica frana che per ora sembra impedire ogni passaggio); l’altra grotta, sempre individuata dai due, è invece una piccola condotta, degna di nota più che altro per la sua “provvidenziale” presenza su quella parete, battezzata “Condotta del Rifugio”. Finalmente, dopo 3 giorni di intenso lavoro, l’accoppiata alpina ha raggiunto nel tardo pomeriggio di giovedì 23, la grande cengia dell’enorme buco nero. Al mattino seguente, di buona lena, si è aggregato al duo Orlando armato di Disto, TopoDroid e reflex. Nel bel mezzo dell’arrampicata però, un forte temporale ha sorpreso i tre, costringendoli e a rifugiarsi per diverse ore in quella condottina di una decina di metri (da qui il nme “Condotta del Rifugio”). Ad acquazzone terminato, in tarda serata, riescono a raggiungere il pozzo, che denominata “Shpella e Dallandysheve” (Grotta delle rondini, per la nidificazione di questi uccelli al suo interno). Hanno però, solo il tempo di scendere il primo pozzo di una trentina di metri, il quale presenta al suo interno un accumulo nevoso, ma si fermano ad un bivio che conduce su due vie verticali. Anche qui l’imponente circolazione di aria preannuncia l’organizzazione di una nuova spedizione l’anno venturoi tre disarmano la via alpina essendo l’ultimo giorno utile e stoicamente rientrano al campo base solo all’alba del giorno dopo.

Shpella e Dallandysheve (Grotta delle Rondini)

Nel frattempo 100 metri più in basso continuano le esplorazioni all’interno della Shtares avviando la risalita sull’attivo. A valle l’acqua si perde in stretti passaggi, mentre a monte ambienti più grandi fanno ben sperare in prosecuzioni, anche se c’è la consapevolezza di dover risalire molto, prima di incontrare nuove gallerie o meandri.

Il giorno dopo scarichi di materiali e vogliosi di esplorare si parte alla volta della Shtares: Orlando e Claudio sono i componenti della squadra di punta incaricata di iniziare la risalita sull’attivo, mentre Michela, Luisana, Michele M. e Michele P. si dedicano alla documentazione fotografica di meandri e gallerie che non erano stati documentati nella spedizione precedente. Una terza squadra composta da Donatella, Angelo e Alessio si dedica invece, ad una risalita a qualche metro dall’ingresso, ma poco dopo un imponente e pericolosa frana fa desistere i ragazzi dal continuare l’esplorazione.

Shpella Shtares

La risalita sul “fondo” continua. Il giorno seguente una nuova squadra si organizza e torna al “fronte siberiano”, così chiamato per il tremendo freddo che si patisce. Stavolta la squadra è composta da Luciano e Donatella, che dopo aver superato l’ennesima frana, si ritrovano davanti alla forra da cui proviene l’acqua. Abbiamo deciso di chiamare questo bellissimo ambiente “Forra dei ragazzi del Raganello”, dedicandola alle vittime della piena del fiume calabrese, che hanno perso la vita mentre noi sbarcavamo in Albania.

Nel frattempo si continua con la documentazione fotografica, il prelievo di alcuni campioni di roccia e il cambio degli armi in previsione di lasciare la grotta attrezzata per l’anno prossimo. Il quarto giorno si ritorna per scendere all’interno della forra, questa viene percorsa per una ventina di metri prima di raggiungere un pozzo, ovviamente in risalita, dal quale scende una cascata d’acqua ed è qui che si concludono le esplorazioni per quest’anno. Il quinto ed ultimo giorno si entra in grotta unicamente per rilevare e portare fuori i materiali che serviranno per la seconda parte di spedizione sul Mali me Gropa. Quest’anno si è lavorato su più fronti, durante questa prima parte di spedizione Ivano Fabbri e suo figlio Francesco hanno scarpinato in quota per diversi giorni trovando e segnalando nuovi pozzi nella zona che va da Maya e Kakise a Kakverit, inoltre è stato dato molto spazio alla documentazione della Shtares che ha permesso di rivedere bene le parti già esplorate scoprendo nuove condotte e possibili vie per arrivare ai livelli superiori della grotta.

Maya e Kakise

Sul Mali me Gropa (27/08 – 01/09)

Chi è approdato al GSM dopo il 1993 ha sempre sentito parlare di questo mistico massiccio carsico. Nel ‘93 infatti, una delegazione pugliese organizzò una spedizione proprio lì, alla quale vi presero parte alcuni storici componenti del GSM. Da allora nessuno di noi ha più messo piede sulla “montagna a buchi” (è questo che vuol dire il suo nome in albanese). Il fatto che alcuni di noi dovessero rientrare in Italia dopo la prima settimana, ci è sembrata un’ottima scusa per tornarci. Prima di ripartire verso Tirana, però, in quattro ci fermiamo all’imbarcadero dei traghetti che fanno la spola tra Fierza e Koman sull’omonimo lago, per andare a vedere meglio un tubo freatico segnalatoci qualche giorno prima da un ragazzo del luogo. Questo si trova 150 m circa più in alto rispetto al lago di Koman. Una non poco impegnativa risalita sulla costa montuosa porta a un primo sgrottamento dal quale 20 metri più in basso si raggiunge la “Grotta dei millepiedi” (Shpella e Shumëkëmbësh). Chiediamo a Valentino, il ragazzo del posto che ci accompagna, come fa a conoscere quella grotta in quel luogo assurdo e perché c’è un recinto in legno nel cavernone. È presto detto, in quella grotta ci nascondevano le pecore e i maiali durante il Regime per evitare che fossero sequestrati, in quanto la proprietà degli stessi era in mano esclusivamente dello stato dittatoriale. Ci infiliamo in questo budello, che da una stretta condottina scende in una molto più ampia, con pavimento “merdo-terroso” e ricchissimo di fauna, tra cui decine di Millepiedi e un paio di pipistrelli. La condotta scende poi molto inclinata, per adesso per una sessantina di metri (rilevati), ma non ci è stato possibile continuare l’esplorazione a causa dei pochi metri di corda a nostra disposizione.

Si aggiunge così un altro punto interrogativo lasciato per l’anno prossimo.

Ci avviamo verso Tirana e poi per Shengjergj per raggiungere gli altri già in viaggio da un pezzo.

Mali Me Gropa

Sul Mali me Gropa passiamo i primi tre giorni a cercare informazioni sull’altopiano. Il primo giorno ci accompagna un amico di Etmond, un militare che conosce molto bene la zona. Con lui riusciamo a recuperare qualche informazione dai pastori, ma nulla che suona promettente.

Il secondo giorno andiamo a verificare una segnalazione. Ma anche questa è fiasco totale e dedichiamo la giornata a girovagare per gli altipiani in un mondo di doline a perdita d’occhio. Ma nulla. Il terzo giorno un pastore ci indica una grotta. Sembra buona, anche perché è già stata sotto l’occhio di qualche altro speleo. Decidiamo di separarci in due gruppi. il primo sale in quota per cercare nuovi ingressi, ma senza portare nessun risultato, mentre Il secondo gruppo va a Valit, per ritrovare la Shpella Shutrese (la grotta esplorato dalla delegazione pugliese nel ‘93).

Il rilievo fatto durante la spedizione all’inizio degli anni 90 mostra che la grotta è una sorgente, nel bel mezzo della quale arriva un pozzo di un centinaio di metri, collegato direttamente con l’esterno. Da lì la grotta prosegue con continui saliscendi fino ad un laghetto, superato solo a nuoto da uno speleo nel ‘93 dove si erano fermate le esplorazioni. Ma la grotta continuava…

La strada verso Valit è un disastro totale, ormai è un tratturo che riusciamo a percorrere a fatica con i fuoristrada. Eppure lungo il percorso numerose sono le baracche dei pastori. A quasi fine strada incrociamo due case, in una non c’è nessuno, nell’altra c’è, come ad aspettarci, Bajram. Ci dice che aveva sentito dal figlio che in paese c’erano italiani che cercavano grotte. E aveva immaginato che prima o poi saremmo arrivati da lui, perché lui è la stessa persona che 25 anni fa aveva accompagnato gli altri pugliesi alla Shutrese e da allora nessuno più ci era tornato ad esplorarla.

Nei pressi del villaggio di Valit

Per un’ora e mezza Bajram ci fa strada tra i ruderi del paese di Valit e un fitto bosco che nasconde un sentiero che conduce ad un canyon bellissimo all’interno del quale si apre l’ingresso basso della Shutrese.

Il percorso è lungo e raggiungiamo la grotta solo al pomeriggio inoltrato, quindi si rientra alle macchine e si dà appuntamento a Bajram per il giorno dopo.

L'ingresso di Shpella Shutrese

La Shutrese ha un accesso in parete che necessita di una risalita di una ventina di metri e da lì si articola per 500 m con continui saliscendi che necessitano di essere armati e notevoli sono le sale che troviamo lungo il percorso. Arriviamo al lago ma vista l’ora tarda decidiamo di tornare indietro e di non avventurarci , ma ci sembra evidente che la grotta continui al di là del bacino.

Intanto un’altra squadra di tre persone sta esplorando la Shpella Etmond, una “simpatica” grotta trovata lungo il canyon che si apre come una fessura sul lato destro della forra. A prima vista pare solo una frattura che chiude immediatamente, ma in realtà si articola in un tubo freatico perfetto, riccamente concrezionato con dei bellissimi gours. Abbiamo esplorato così, una settantina di metri e un pozzo di una ventina ma anche questa simpatica grotticina continua e torneremo anche qui.

Shpella Etmond

Questi posti meravigliosi continuano a stupirci e a lasciarci importanti segni nel cuore. Numerosi sono i punti interrogativi che attendono ancora risposte, ma conserviamo con noi una sola certezza: il prossimo anno ci troverete ancora qui, accolti come sempre, dalla magnifica ospitalità di chi questi luoghi li custodisce, abitandoli.