Il respiro della Terra delle Aquile

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Un passo dietro l’altro diventa sentiero, diventa via, strada da percorrere insieme. Diventa rotta perché per arrivare alla Shtares ci vuole pazienza e perseveranza, cammini con il sole al mattino e navighi di notte con le stelle, mentre la Luna continua a scaldarti.

Bisogna fidarsi dei propri compagni, bisogna unirsi alla solitudine dell’altro e condividerla perché quando si cammina in montagna si fa così.

Come per ogni risalita bisogna fare sicura, fidarsi di chi ti sta davanti e di chi ti segue. Bisogna voltarsi indietro spesso e prendere fiato perché al “ghiaione” piace provocare e a noi la curiosità ci tiene in vita. 

La montagna di Vrane e Madhe - illustrazione di Fabio Semeraro
La montagna di Vrane e Madhe – illustrazione di Fabio Semeraro

E non è questione di incoscienza o di essere “forti forti” qui le magliette sono sudate e i polmoni assecondano le pendenze. E poi c’è l’aspettativa d’illuminare più buio possibile, il prima possibile. Qui nessuna formula matematica regge, qui bisogna seguire quello che davvero la montagna vuole svelarti. Si procede per tentativi. 

Abbiamo imparato a fare tesoro dei nostri insuccessi ma non c’avevano detto tutta la verità. C’avevano raccontato che le grotte esistono solo quando qualcuno le illumina ma come è possibile che la Shtares respira così forte? Il suo sospiro lo sentivamo da metà ghiaione e la sua forza la percepivamo già da lontano.

Avete mai provato a sentire respirare una montagna? Ogni sospiro ci faceva capire come quella grotta era viva e che ne avevamo conosciuto solo una parte, una piccola parte. 

La delusione dei primi giorni, quando tutto chiudeva sotto i nostri occhi, quando tutto sembrava remare contro, quando nemmeno l’entusiasmo riusciva a colmare quel vuoto che non riuscivamo a illuminare e poi è successo… 

Perché le cose nel mondo capitano così, per caso, e non è un questione di fortuna o di sfortuna è una questione di perseveranza e di attitudine.

Probabilmente è da ricercare nello stupore di Luciano davanti all’immensità di una parete o di Maria Grazia che davanti alle cose piccole del mondo che siano insetti (che vede solo lei) o persone, continua a stupirsi e a invocare l’armonia del tutto. 

È nella cocciutaggine di Claudio e dei suoi esperimenti con il CO2 per capire che aria tira e di questi tempi e in questa grotta non è mica facile star dietro alle correnti. 

È nella perseveranza delle risalite di Federico e Norma, nelle scalate e nel trascinare tutto e tutti di Alex, nella musicalità dei gesti di GnD, nei sorrisi di Marianna, nelle “passeggiate” in quota di Pasquale o chissadio nelle omelette di Pino al mattino presto.

Lo stupore spesso porta gli esseri umani ad alzare lo sguardo, perché sotto terra, a volte, hai bisogno di respirare con gli occhi e i nostri occhi sono spesso abituati a fare risalite, soprattutto quando è una vita che collezioniamo sconfitte e soprattutto quando queste sono in maggior numero delle vittorie. 

Si dice che la grotta prende le sembianze di chi la esplora per la prima volta, è difficile crederci ma quando Fabietto, Susy, Orlando e Lallo hanno cominciato a battezzare i nuovi rami ai piani alti appena scoperti con i nomi di “Cattedrale”, “Panteon”, “Guggenheim” o “Piazza Rossa” abbiamo respirato quegli ambienti facendoli nostri, rendendoli più vicini, umani, percorribili.

La Piazza Rossa - illustrazione di Fabio Semeraro
La Piazza Rossa – illustrazione di Fabio Semeraro

E se esistono diversi Giovanni Battista esistono per ognuno anche diverse Salomè e noi abbiamo avuto l’onore di vedere danzare delicatamente, che poi altro non è che restare in equilibrio su quelle rocce sconnesse e sconosciute, Luca, Umberto, Alessio, Luisana, Donatella, Michele, Sanchez, Michele e Michela. 

E poi ci sono quelli che sono ancora incastrati ne “Il caos di Giovanni” quella frana tenuta in piedi e immobile dal respiro della grotta che per uscirne devi seguire l’odore della Shtares e di chi è venuto prima di te…

Siamo su quasi 5 km di grotta rilevata e ce n’è ancora. Tanta, ci sarà da lavorare almeno per altri 10 anni… Tranquilli perché qui a est del sud est ogni alba è anche un tramonto, il tempo passa in fretta e abbiamo più o meno caviglie e ginocchia buone e gole che chiedono Peja e Raki finché ce n’è.

Ora tocca a ognuno di noi custodire tutti questi ricordi nella memoria e la memoria fin da piccoli ci hanno insegnato che non è mestiere da scrittori ma da contadini. La terra che dà frutti buoni tocca rimestarla a concimarla e forse non è un caso che il piantare un seme cominci proprio da un buco nella terra…