Era il 26 dicembre del 1939, quando per la prima volta, degli esploratori monopolitani decisero, sull’onda entusiastica della scoperta delle grotte di Castellana per opera di Franco Anelli, d’illuminare un buio che portava con sé una cattiva fama e calarsi letteralmente in un buco chiamato Grave di Santa Lucia sito nel territorio di Monopoli.
Allora, quando c’era lui, ogni discesa era degna di chiamarsi tale solo se portava dei risultati concreti: Luigi Dimola proprietario del fondo assieme a qualche studente approdò nell’ampio salone fino ad arrivare ad una profondità di oltre cento metri.
I giornali locali titolavano con apprezzamenti l’impresa “Audacia dei gufini” e lo stesso segretario del fascio esortava la prosecuzione. Ma le ricerche s’interruppero sia per i mezzi e sia perché la guerra chiamò i suoi figli a combattere battaglie poco inclini alla conoscenza.
L’esplorazione riprese solo nel 1948 con il primo rilievo degno di nota. La calata vide tecnici come Cosimo Reho, Vito Esposito, Libero Barnaba, Vincenzo Brigida, Dionisio Rossi che terminarono l’indagine a quella che oggi risulta la “vecchia strettoia” -153m.
Nel 1962 Franco Anelli in persona volle accertarsi dei racconti che provenivano dagli speleo monopolitani e con il vecchio gruppo Speleologico Pugliese (Mario De Francesco, Luigi la Volpe, Lindoro Ferrante, i fratelli Carlo e Franco Dell’Aquila e Gianni De Rosa) esplorarono la “sala degli angeli”, un’ambiente situato sotto il cono detritico straordinariamente ricco di concrezioni.
Franco Anelli, per la profondità, ma anche e soprattutto per la bellezza e la maestosità delle sale, decise di pubblicarne una corposa descrizione e il rilievo in una sua pubblicazione del 1969 intitolata “Le grotte più profonde di Puglia”. Ed è proprio in questa cavità, che sul finire degli anni Settanta si attestava a quasi -200 m, il caposquadra del soccorso Pugliese, Pino Palmisano, decise di organizzare le prime esercitazioni di soccorso alpino e speleologico facendo così esperienza di manovre di recupero in quella grotta.
Per approfondire ancora di più la grave si dovettero aspettare gli anni Novanta con il superamento dell’ultima strettoia per opera del Gruppo Ricerche Carsiche di Putignano che, forzando la cavità, toccarono prima i -250m poi, con l’arrivo del nuovo millennio, il fondo fino a -285m dove questa oggi si arresta.
C’è una leggenda che associa alla Grave di Santa Lucia alcuni episodi del grande brigantaggio post unitario e in particolare quello che riguarda la Banda dal Sergente Romano.
Secondo Antonio Lucarelli nella grotta vennero gettate tre persone, per cui la gente del luogo avrebbe inciso tre croci sulla base di un ulivo che ancora cresce nei pressi dell’ingresso. Il brigante in questione pare fosse l’ostunese Giorgio Palmisano, detto Malvasia, che durante il suo processo fu accusato da un testimone di essere: “immane belva, gettò vivo nella grava d’Aratico il commerciante Francesco Cardone di Fasano, colpevole di patriottismo”.
Nessuno ha mai trovato tracce dei tre corpi ma come al solito quando si parla di grotte tutto è lecito, tutto fa “color bruno”.
Noi ci siamo ritornati lo scorso fine settimana in compagnia dei nostri amici putignanesi e, ancora una volta, ci siamo accorti che quando più speleo indossano un casco e illuminano il buio a -285 questo viene sconfitto sempre a colpi di luce.